La nascita di un bambino si configura, per entrambi i genitori, come parte del normale percorso evolutivo nel ciclo di vita; in particolare, ogni futura madre, alla quale è chiesto di avviare l’inevitabile “processo di riorganizzazione psichica che la maternità porta con se” (Tambelli, 2012), risulta esposta ad una “crisi maturativa” (Bibring, 1959), che da un lato offre una inestimabile possibilità di crescita e sviluppo olistico della neo-madre ma dall’altro può accentuarne la vulnerabilità individuale.
Numerosi studi, in ambito nazionale e internazionale, rivolgono il loro interesse ai processi psichici e ai cambiamenti emotivi e corporei inerenti alla maternità, mettendo in luce la complessità psicologica di questo particolare momento della vita, in grado di coinvolgere non solo la diade madre-bambino, ma anche il padre e l’intero sistema familiare. Il supporto sociale è stato identificato come uno dei fattori che maggiormente contribuiscono alla qualità delle esperienze nel post-partum. Che esso derivi dal partner, dalla madre o dal contesto sociale allargato, gli studi presi in esame sembrano dimostrare che per la donna sia fondamentale la possibilità di condividere la propria esperienza e sentirsi sostenuta o “contenuta” dalle figure di riferimento, in modo da avere intorno a sé un ambiente di holding (prendendo in prestito il termine di D. Winnicott, 1971) per poter vivere con serenità questo importante momento della sua vita.
Dagli anni ’70 del secolo scorso, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, anche la medicina fetale ha contribuito a chiarire importanti aspetti della relazione tra il feto e la futura madre: come osservato da Piontelli (1987;1992) grazie alle indagini ultrasonografiche, sin dalla gravidanza il feto sembra intrecciare delle relazioni assai complesse con l’ambiente intra-uterino e, dalle prime esperienze sensoriali, è possibile distinguere preferenze e reazioni altamente individuali, evidenziando una continuità di comportamento e di tratti temperamentali tra vita pre e post-natale.